Mer. Nov 27th, 2024

Per raccontare Paolo Conte non basta una vita. E gli anni all’anagrafe iniziano ad essere importanti: 80, tutti passati a servizio della Musica, una Musa per molti ma una compagna di vita per pochi. E tra questi pochi eletti c’è sicuramente il cantautore astigiano che, in questi suoi primi ottant’anni di vita, ha saputo unire Jazz americano, arti figurative, suggestioni di vita, cinema, letteratura e tanta creatività, in canzoni che sono diventate un successo internazionale.
In questa intervista, che potremmo definire forse “traguardi di vita”, cerchiamo di conoscere Paolo Conte ripercorrendo i suoi decenni di vita, nel segno della Musica, naturalmente.

Si dice che al raggiungimento di ogni decennio di vita si tagli un traguardo importante. Proviamo a partire dagli albori della sua vita. Chi era Paolo Conte a 10 anni?
«Ero un bambino che ha vissuto gli orrori della Guerra che purtroppo non potrò mai dimenticare. Ma una luce in tutto quel buio era rappresentata dalla musica: a casa mia, in barba ai divieti del Fascismo, si ascoltava la musica americana, ed il Jazz fu per me quasi una folgorazione. L’ho sempre considerata la più sensuale delle musiche».

A 20 anni si diventa ragazzi, ai suoi tempi era meglio dire uomini: la Musica che posto aveva?

«La Musica è sempre stata una grande compagna di vita. Ricordo i primi tentativi jazzistici  e, in quel periodo, suonavo il pianoforte, il trombone ed il vibrafono. La Musica mi ha regalato soddisfazioni ed ho capito che poteva essere il mio lavoro: ho ottenuto un ottimo piazzamento alla Coppa del Jazz alla RAI di Roma con la banda Dixieland “The lazy river bands society”, ed il terzo posto al “Concorso radiofonico europeo” che si svolse ad Oslo, come rappresentante dell’Italia. Il Jazz era per me una vera e propria mania».

Nel 1967 eccoci ai 30 anni. E’ il periodo delle sue “canzoni diverse ed originali” che lei ha scritto per Adriano Celentano, Caterina Caselli, Patty Pravo, giusto per fare qualche esempio. Come si è sentito in quel momento della sua vita?

«In quel periodo lascai un po’ le briglie della “fissa americanoide” e mi dedicai alla scrittura di canzoni per diversi cantanti italiani. Fu un periodo di grande soddisfazione e di esperienza, e ricordi con il sorriso quelli anni di successo. Sentire la gente che canta le canzoni che scrivi lascia ti fa provare una bella sensazione. Non ho però abbandonato la mia professione di Avvocato che abbinavo a quella di compositore».

Possiamo definire i suoi 40 anni e dintorni come quelli del debutto da cantante: i primi album, l’apprezzamento da parte del pubblico e, a 45 anni (1982), la consacrazione con “Appunti di viaggio”. Che anni sono stati per lei, e quanto l’hanno segnata professionalmente?

«E’ stato il periodo che ha segnato l’inizio della mia carriera di cantautore. Devo ringraziare il grande produttore della LCA Lilly Greco che mi spronò a pubblicare due LP di provini da me eseguiti per fare ascoltare i miei brani ai cantanti. E così ebbe inizio la mia vita per i palcoscenici, passando gradualmente dalla nicchia al grande pubblico».

50 anni: un’età importante per un uomo. E per un artista? Il suo successo aumenta e conquista il Mondo con lunghe tournée negli anni ‘90, ed il suo modo di fare musica tocca corde nuove, prima di tornare alla sua tradizionale melodia. Come definirebbe il Paolo Conte di allora?
«Le lunghe tournèe prima in Italia e poi all’estero, l’immediato successo ottenuto a Parigi che mi apre le porte al mondo, sono tutti aspetti che hanno segnato in positivo la mia vita professionale e che ricordo con grande piacere. Un successo graduale e costante che mi ha permesso di vivere la Musica con grande emozione».

Dai 60 ai 70 anni la vena creativa continua e lei produce diversi album che rappresentano una grande maturità: che cosa continua ad ispirarla?
«Non c’è mai stato un qualcosa che mi abbia ispirato a priori: è l’ispirazione che comanda, arriva quando vuole lei, e quando decide di farlo, uno inizia a scrivere e le va dietro, sperando che duri il più possibile».

Ed arriviamo ai giorni nostri: lei ha da poco spento 80 candeline, ed è uscito il suo ennesimo album che segna il suo debutto nella musica strumentale. Non c’è età in cui non si possa stupire, che cosa ne pensa?
«L’importante è stupire prima di tutto se stessi. Quando si riesce a fare bene qualcosa, ad ogni età, e si resta soddisfatti, allora sì che ci si può stupire. E questo è forse il segreto».

In questa sua vita musicale, l’ “ispirazione del pomeriggio” le è anche venuta magari pensando alla terra astigiana? Che rapporto ha con la sua terra natìa?
«La mia terra natìa è da sempre presente nelle mie canzoni, come dimenticarsi di simili paesaggi. La terra astigiana è per me come una “culla dell’esistenza” che non smette mai di prendersi cura di me ed io di lei. Essere astigiano mi scorre nelle vene da sempre, e sarà così fino alla fine ed oltre».

Intervista: Livio Oggero
Foto: Daniela Zedda

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